Depeche Mode - Memento Mori

Voglio recensire per la prima volta non un nuovo album, ma un album che ho apprezzato moltissimo: “Memento Mori” dei Depeche Mode. Un disco che mi ha accompagnato silenziosamente per mesi, e che ora sento il bisogno di raccontare. Non solo per la sua bellezza musicale, ma per quello che rappresenta: un momento di passaggio, di dolore, di rinascita artistica. Pubblicato nel 2023, Memento Mori arriva in un momento delicatissimo della storia dei Depeche Mode: è il primo album dopo la scomparsa di Andy Fletcher, anima silenziosa e punto di equilibrio del trio storico. La sua morte improvvisa nel 2022 ha scosso profondamente non solo i fan, ma anche la stessa dinamica creativa della band. Eppure, Dave Gahan e Martin Gore hanno deciso di andare avanti. Non per dimenticare, ma per ricordare. Per dare un senso al lutto attraverso la musica. Il risultato è un lavoro intimo, oscuro, ma allo stesso tempo vibrante di vita. Il titolo stesso – Memento Mori, “ricorda che devi morire” – è un invito alla consapevolezza, non alla tristezza. Un richiamo antico, quasi filosofico, che diventa chiave di lettura per ogni traccia. Ghosts Again, il primo singolo, è una perla. Il ritmo è morbido ma coinvolgente, le armonie malinconiche ma leggere. È una riflessione dolce-amara sull’inevitabilità della morte, ma anche sull’idea che, in qualche modo, restiamo. Nei ricordi, nelle emozioni, nella musica. È come se la voce di Gahan sussurrasse: “non tutto finisce davvero”. Ma l’album è tutt’altro che monocorde. My Cosmos Is Mine apre il disco con un sound cupo, quasi claustrofobico, una sorta di dichiarazione d’intenti: il mondo interiore è l’unico spazio sacro da preservare. In Don’t Say You Love Me, la tensione emotiva si traduce in una ballata struggente, in bilico tra disperazione e bisogno d’amore. Before We Drown è una delle gemme nascoste del disco: elettronica avvolgente, testi intensi, atmosfera da ascolto notturno. E poi c’è Speak to Me, una chiusura da brividi. Lenta, maestosa, come una preghiera laica. Gahan qui si mette completamente a nudo, e il brano diventa un inno alla vulnerabilità umana. La produzione, curata da James Ford (già al lavoro con Arctic Monkeys e Gorillaz), è pulita, elegante, senza fronzoli. Ogni suono ha il suo spazio, ogni silenzio il suo peso. È un album maturo, che guarda al passato con rispetto ma non si ferma lì. Non ci sono strizzate d’occhio nostalgiche: c’è solo l’urgenza di dire qualcosa di autentico. Adoro questo album, anche se si sente la mancanza di Andy Fletcher. La sua presenza aleggia in ogni brano, come un’eco affettuosa. Non ci sono dediche esplicite, ma si percepisce che ogni nota è anche per lui. Come se Gahan e Gore gli stessero parlando ancora. Ed è proprio questo che rende Memento Mori così potente: è un disco che accoglie il lutto, lo trasforma in arte, e ci ricorda – in punta di piedi – che siamo tutti di passaggio. Ma mentre siamo qui, possiamo ancora ballare. Possiamo ancora cantare. Possiamo ancora emozionarci. E i Depeche Mode, con questo album, lo fanno come pochi altri sanno fare.

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