Pink Floyd - Pink Floyd at Pompeii

Certe notti non sono solo musica. Sono storia, emozione, mito. E quella del 21 aprile 2025, nell’antico anfiteatro di Pompei, è destinata a scolpirsi nella memoria collettiva come uno di quegli eventi irripetibili, che vanno oltre il tempo, oltre le mode, oltre il suono. I Pink Floyd – o meglio, ciò che resta del loro spirito originale, guidato da un David Gilmour ancora magnetico e da un Nick Mason in stato di grazia – sono tornati là dove tutto era già leggenda. E lo hanno fatto senza nostalgia, ma con rispetto, visione e una potenza creativa che non teme paragoni. Pompei: la location che parla da sola Chi conosce Live at Pompeii (1971) sa che quel concerto-film era molto più di una performance: era una dichiarazione d’intenti. Psichedelia pura, sperimentazione, silenzi che diventano suono. Tornare in quello stesso luogo oggi, in un mondo cambiato e con una band profondamente trasformata, poteva sembrare un azzardo. Invece è stato un colpo da maestro. Il luogo ha fatto il suo dovere: atmosfera surreale, suggestioni antiche, vibrazioni telluriche. Le luci moderne, le proiezioni video che attraversavano le pareti secolari e un’acustica sorprendentemente intima hanno creato un ambiente quasi sacro. La scaletta: tra omaggi e nuovi orizzonti Aperto con una “Echoes” da brividi – eseguita in versione integrale, come rituale d’apertura – il concerto è stato un viaggio lungo e stratificato nella discografia della band. Si è passati per i classici irrinunciabili: “Shine On You Crazy Diamond”, “Time”, “Us and Them”, “Wish You Were Here”, fino ad arrivare a una “Comfortably Numb” finale che ha letteralmente fermato il tempo. Ma la sorpresa più grande è stata una nuova suite strumentale scritta per l’occasione: una composizione inedita e coraggiosa, a metà tra rock progressivo e ambient, che ha saputo fondere l’identità floydiana con uno sguardo contemporaneo. Un pezzo che, ci auguriamo, troverà posto anche su un futuro album live ufficiale. Una band viva, nonostante tutto Diciamolo: non è facile portare avanti il nome “Pink Floyd” senza Roger Waters, senza Richard Wright. Eppure, Gilmour e Mason non cercano di replicare il passato: lo reinterpretano. Lo fanno proprio. Il risultato? Una band che sa ancora emozionare, parlare, osare. I musicisti che li accompagnano non sono comparse: sono custodi e innovatori. Le tre voci femminili che si sono alternate su “The Great Gig in the Sky” hanno letteralmente sollevato il pubblico da terra. La sezione ritmica è stata precisa e calda, gli arrangiamenti rispettosi ma non museali. Un evento fuori dal tempo In un’epoca dove tutto è frenetico e dimenticabile, Live at Pompeii 2025 è una boccata d’eternità. Non è solo un concerto da ascoltare: è un momento da vivere, da interiorizzare. Conclusione: un concerto immortale Non è retorica, non è fanatismo: Pompeii 2025 è uno di quei rari casi in cui arte, luogo e momento si fondono perfettamente. È stato un viaggio nel tempo, un richiamo alle origini, ma anche una dichiarazione di vitalità artistica. I Pink Floyd, oggi, non sono solo una band. Sono un linguaggio, una visione. E questo concerto – potente, raffinato, emozionante – ne è la dimostrazione più luminosa. Un’esperienza che resterà. Un concerto che è già leggenda.

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