Il filo invisibile del microfono

Ricordo ancora la prima volta che mi sono seduto davanti a un microfono. Era tanti anni fa, e la mia voce tremava. Tremava non solo per l’inesperienza, ma per il peso delle emozioni che mi travolgevano. Sentivo il cuore correre, le mani sudate, il pensiero fisso: “E adesso cosa succede?”. In quell’istante avevo la sensazione di trovarmi su una soglia invisibile. Da una parte c’ero io, con le mie paure, i miei sogni e l’incertezza di chi sta iniziando. Dall’altra parte, un mondo di persone sconosciute pronte ad ascoltarmi. Non le vedevo, ma sapevo che c’erano. Ed era questo a darmi la vertigine più grande. Le prime parole uscirono fragili, incerte, impastate dall’emozione. Ma erano vere. E mentre parlavo, capii subito una cosa: il microfono non amplifica solo i suoni, amplifica le emozioni. Ogni esitazione, ogni respiro, ogni sorriso nascosto arrivava dall’altra parte, ed è proprio in quella fragilità che si creava il contatto più autentico. Poi partì la musica. In quell’attimo mi resi conto che il microfono non era un muro da superare, ma un ponte da attraversare. Un filo invisibile che unisce chi parla e chi ascolta. E da quel giorno non ho più smesso di camminare su quel filo. Sono passati anni, e di dirette ne ho fatte tante. In radio ho avuto soddisfazioni immense: incontri che non dimenticherò mai, messaggi inaspettati da ascoltatori che mi hanno ringraziato perché una canzone aveva cambiato il loro umore, la gioia di condividere passione e musica come se fosse un dono quotidiano. Ho visto la mia voce arrivare dove non avrei mai immaginato, ho sentito la radio trasformarsi da lavoro a compagna di vita. Certo, non sono mancate anche le piccole delusioni o i momenti difficili. Fortunatamente pochi, ma ci sono stati: una trasmissione che non andava come speravo, un imprevisto tecnico che sembrava rovinare tutto, o quella sensazione di non essere riuscito a dare il meglio. Eppure, ogni volta che è successo, ho imparato qualcosa in più. La radio è così: ti mette alla prova, ti insegna a rialzarti, a sorridere anche degli errori. Ma se metto sul piatto della bilancia ciò che la radio mi ha dato, non ho dubbi: le emozioni, le soddisfazioni, le connessioni umane hanno sempre superato tutto il resto. Perché dietro ogni parola detta, dietro ogni canzone scelta, c’è stato un incontro silenzioso con qualcuno che forse non ho mai conosciuto, ma che per un attimo ho sentito vicino. Ed è proprio per questo che oggi, quando mi siedo davanti al microfono, sento soprattutto gratitudine. Perché ogni volta che dico la prima parola, rivivo un po’ di quell’emozione di allora, ma con la consapevolezza di aver costruito un percorso fatto di passione, verità e musica. Il microfono per me non è più un ostacolo, ma un rifugio. Non è solo uno strumento, ma una parte di me. È la mia voce che diventa compagnia per qualcuno, è il suono che si intreccia con i pensieri di chi ascolta, è un filo invisibile che continua a vibrare, sera dopo sera. Il bello della radio è che non sai mai dove arriverà la tua voce. Magari accompagnerà il viaggio di chi torna a casa, sarà il sottofondo di una cena in famiglia, o la compagnia discreta di chi si sente solo. E tu sei lì, senza saperlo, a far parte della vita di qualcuno. È un privilegio immenso. E dopo tutto questo racconto, lasciatemi chiudere con un sorriso: se volete scoprire se la mia voce trema ancora un po’… vi aspetto ogni domenica sera alle 21:00 su Radio MayDay. Magari rideremo insieme, magari vi emozionerete, magari vi arrabbierete pure per una canzone che non vi piace. Ma una cosa è certa: ci sarà sempre un microfono acceso e la voglia di condividere musica ed emozioni.

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