Il filo invisibile del microfono
Ricordo ancora la prima volta che mi sono seduto davanti a un microfono. Era tanti anni fa, e la mia voce tremava. Tremava non solo per l’inesperienza, ma per il peso delle emozioni che mi travolgevano. Sentivo il cuore correre, le mani sudate, il pensiero fisso: “E adesso cosa succede?”. In quell’istante avevo la sensazione di trovarmi su una soglia invisibile. Da una parte c’ero io, con le mie paure, i miei sogni e l’incertezza di chi sta iniziando. Dall’altra parte, un mondo di persone sconosciute pronte ad ascoltarmi. Non le vedevo, ma sapevo che c’erano. Ed era questo a darmi la vertigine più grande. Le prime parole uscirono fragili, incerte, impastate dall’emozione. Ma erano vere. E mentre parlavo, capii subito una cosa: il microfono non amplifica solo i suoni, amplifica le emozioni. Ogni esitazione, ogni respiro, ogni sorriso nascosto arrivava dall’altra parte, ed è proprio in quella fragilità che si creava il contatto più autentico. Poi partì la musica. In quell’attimo mi re...